Quasi 10 proposte per governare l’Overtourism

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Quasi 10 proposte per governare l’Overtourism

Lidia Marongiu

Tempo di lettura: 7 min

L’Overtourism sembra essere la parola chiave di questo 2024, esplosa peraltro in estate per casi diversi, alcuni al limite del grottesco.
Ma per tanti di noi che nel turismo ci lavorano la parola non è affatto nuova, anzi. Forse presi dalla corsa al recupero di arrivi e presenze, dettata dal disastro post COVID, abbiamo dimenticato che “Sì viaggiare”, non è solo il titolo di una canzone.

Tutti desideriamo viaggiare. Tanti lo stanno facendo. Troppi nel medesimo periodo e negli stessi luoghi.

E questo è causa di una serie infinita di problemi tra cui il rischio di forti danni ambientali, l’esasperazione delle persone residenti che non trovano alloggi e case da affittare tutte destinate al mercato turistico, la chiusura di negozi e attività di quartiere, il sovraffollamento, la carenza di parcheggi, la sporcizia, la mancanza di decoro, le file chilometriche per i mezzi di trasporto pubblici e via così con un elenco infinito di disagi.

“Tourism Kill the city” o “Turisti Go home” sono scritte che stanno apparendo in tantissime città europee e italiane. Io stessa la fotografai per la prima volta più di 15 anni fa a Barcellona e quest’anno, oltre ad averlo visto scritto in diversi luoghi, me lo hanno urlato anche nella mia città ad Alghero in Sardegna: e questo nonostante abbia ancora un accento e soprattutto un cognome che non mentono sulle mie origini sarde.

I casi di Barcellona, Firenze, Venezia, Copenaghen, Amsterdam, Santorini e infine Bologna sono balzati alle cronache e sono entrati a far parte della letteratura estiva sull’argomento.

Dall’Europa all’Italia: 6 casi di overtourism

  1. A Barcellona il 21 giugno, quasi ad inaugurare l’estate, il sindaco Jaume Collboni ha dichiarato che la città smetterà di dare nuove licenze e non rinnoverà quelle esistenti azzerando di fatto il mercato degli affitti per vacanze dal 2029. Sempre a Barcellona alcune persone del luogo hanno manifestato contro il turismo aggredendo i turisti con le pistole ad acqua.
  2. La protesta è stata emulata in altre città tra cui Firenze che del fenomeno ha già ampia consapevolezza tanto da lanciare l’interessante campagna di comunicazione #EnjoyRespectFirenze tutta improntata a “educare i turisti” al rispetto della città e di chi la vive per tutto l’anno.
  3. Sulla stessa linea, ma più preoccupata per il climate change e l’impatto ambientale del turismo, è la campagna CopenPay proposta da Copenaghen che è disposta a “ricompensare”  i comportamenti virtuosi di turistə e local con omaggi di vario tipo tra cui pranzi, ingressi ai musei o noleggi gratuiti.
  4. Sulla leva del prezzo ha invece puntato Venezia con la sperimentazione del biglietto di accesso giornaliero di 5 euro: l’overtourism sembra essere rimasto tale ma intanto sono entrati nelle casse del Comune circa 2,2 milioni di euro in poco meno di tre mesi.
  5. A Santorini, letteralmente presa d’assalto questa estate, il sindaco è arrivato a chiedere alle persone del luogo di non uscire di casa: allarmante ma comprensibile considerato che l’isola dove vivono 15.000 residenti accoglie 3,4 milioni di turistə l’anno!
  6. E infine Bologna con il suo Mortadella Gate che tanto ha fatto infuriare il sindaco Matteo Lepore costretto a rispondere ad un articolo sul New York Times che definiva Bologna “un magnificio di Mortadella” invaso da turistə interessati (solo) ad abbuffarsi sotto le due Torri in locali aperti ieri l’altro e che però sventolano la bandiera  rossoblù dell’identità e della tradizione.

Insomma questi i casi più noti ma potremmo aggiungerne anche altri come quelli di Palermo, del Salento o di piccole perle come Cala Mariolu in Sardegna che nonostante i divieti e il numero chiuso è presa d’assalto tutti i giorni da centinaia di persone che sbarcano a frotte con enormi imbarcazioni che trasformano il giro delle isole in uno spettacolo da circo, adottando in alcuni casi comportamenti pericolosi per l’ambiente e i turisti stessi.

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Affitti brevi, social, low cost: le cause dell’overtourism?

A fronte di questi casi abbiamo puntato il dito più volte soprattutto su Airbnb, rea di aver amplificato a livello globale il fenomeno degli affitti per le vacanze e che nel corso degli anni ha perso la sua investitura di pioniere della sharing economy per diventare l’alfiere della speculazione immobiliare turistica.

Poi ce la siamo presa anche con i social colpevoli di aver fatto diventare luoghi bellissimi e poco conosciuti dei veri e propri place to be instagrammabili.

Sempre sul tavolo degli imputati abbiamo messo le compagnie low cost, che prima sono state osannate per aver reso i viaggi aerei accessibili a tuttə e poi sono diventate parte del problema nella distribuzione dei flussi turistici in alcune destinazioni. Molti vettori concentrano i loro voli nei mesi estivi o di alta stagione e poi lasciano alle loro spalle il deserto di collegamenti nei mesi invernali rendendo impossibili le politiche di “stagionalizzazione” e senza alcuna considerazione per i residenti.

A mio parere, pur riconoscendo che questi tre fattori sono una parte sostanziale del problema non ritengo che debbano essere necessariamente la causa. Anzi, secondo me sono una conseguenza molto impattante di altri problemi che stanno da un’altra parte.

E cioè nei posti di comando del turismo, nei luoghi in cui si pensa e si progetta, in cui si disegnano le politiche e le governance, gli obiettivi e le strategie, i parametri di sostenibilità e i valori. Il tutto equamente distribuito a livello nazionale, regionale e locale.

No, non è una predica né una discussione sterile, né una critica gratuita a chi invece in tante destinazioni sta anche cercando di cambiare le cose.

Per questo partendo da chi in questi giorni ha già pensato di avanzare delle proposte e delle soluzioni vorrei ragionassimo insieme su quali potrebbero essere alcune soluzioni e lancio l’idea di scrivere un manifesto, o un decalogo (insomma, chiamalo come vuoi) da proporre per contrastare l’overtourism.

Il Manifesto per il Contrasto all’Overtourism

Inizio con alcune proposte ma ti invito a contribuire anche con le tue idee.

  1. DMO per ogni destinazione: prima di tutto bisogna mettere ordine alla governance. Ogni destinazione dovrebbe avere un ente o un’organizzazione preposta alla gestione in cui siano rappresentate le istanze e idee del pubblico e del privato, con il ruolo e il compito di dare vita a destinazioni community gestite secondo criteri dove la sostenibilità economica, sociale e ambientale sia un obbligo e non un claim. Al momento le DMO (Destination Management Organizations)  possono esserci o non esserci e in generale ognuna agisce per proprio conto con obiettivi, strategie e piani autonomi senza alcun parametro di riferimento nazionale. Sempre sulla questione DMO, sposo la proposta di Roberta Garibaldi per la creazione di un albo di destination manager qualificati: assurdo che per diventare direttorə di un’agenzia turistica sia obbligatorio fare un esame e non sia invece richiesto a chi deve gestire una intera destinazione e quindi il benessere di migliaia di persone.
  2. Database internazionale di buone pratiche: il problema è diffuso in Italia, in Europa e nel mondo. Perché non condividere le buone prassi facilitando la condivisione di conoscenza e quindi l’emulazione in modo sistemico e accessibile?  Ben vengano i convegni, le conferenze regionali, i workshop e i confronti: ma il rischio è che questo tipo di conoscenza rimanga accessibile solo a un’élite di studiosi, esperti e accademici e non arrivi mai ai decisori di tante piccole destinazioni che ogni volta devono partire dal foglio bianco.
  3. Piani strategici di sviluppo turistico che coinvolgono i cittadini: coinvolgere la comunità locale non è solo una questione di democrazia e partecipazione, ma è l’unico modo per responsabilizzare tuttə, garantire che le esigenze dei local siano prese in considerazione e adottare politiche sostenibili a lungo termine. Il turismo investe tutto il territorio inteso come ecosistema economico, sociale e ambientale. Eppure quando si fanno i piani strategici al massimo si coinvolgono gli operatori turistici, le associazioni e i cosiddetti stakeholder di settore.
  4. Analisi di carico del territorio: obbligatoria per tutte le destinazioni partendo dalle città e luoghi più a rischio e già in overtourism, L’analisi serve a determinare quanta pressione turistica una destinazione può sostenere senza compromettere le sue risorse naturali, infrastrutture e qualità della vita delle persone residenti. Questo studio dovrebbe essere condotto regolarmente e utilizzato come base per limitare i flussi e sviluppare politiche di gestione turistica che prevedano anche l’applicazione del numero chiuso e quindi la prenotazione per tempo delle visite. Ad esempio Roberta Garibaldi nelle sue proposte contro l’overtourism propone l’istituzione di un centro studi nazionale preposto a questa specifica analisi per tutti i territori: andrebbe benissimo ma io lo metterei come obbligo fondante per la costituzione di una DMO.
  5. Dati e intelligenza artificiale: usati per ideare politiche, governare i flussi in tempo reale, proteggere le situazioni a rischio, promuovere nuovi prodotti, individuare nuove motivazioni di viaggio. I dati sono strategici e ogni destinazione dovrebbe avere un sistema di monitoraggio di dati in real time per sostenere le politiche di distribuzione dei flussi. Faccio però un esempio su dati facili da reperire legato alla questione clima: perché non usare i dati per individuare i periodi fuori stagione di alcune destinazioni che hanno un clima particolarmente mite che permette di andare al mare sino a novembre? In moltissime località che si affacciano sul nostro Mediterraneo il clima, già da anni, permette di andare al mare ben oltre i mesi estivi eppure a fine settembre la stagione turistica balneare è già archiviata. Certo non sarà una settimana sotto l’ombrellone ma tra un trekking, un evento e una sagra si va anche al mare 😎
  6. Programmi e campagne di educazione e sensibilizzazione: attivare campagne e programmi continui di educazione e sensibilizzazione per turistə e residenti. Ottimi gli esempi di Firenze e Copenaghen ma servono azioni sistematiche e diffuse. Per fare turismo in modo sostenibile serve sensibilizzazione ed educare sul comportamento responsabile e sull’importanza di rispettare le culture locali, l’ambiente e il contesto. Non prendetemi per una bacchettona, (giuro non lo sono mai stata!) ma ad esempio la questione degli addii al nubilato secondo me sta davvero un po’ sfuggendo di mano. Bello vedere tante persone (di tutte le età) festeggiare ma davvero non è possibile mettere un limite che permetta di non andare oltre alle normali regole di decoro e dignità?

Queste sono giusto le prime idee ma se deve essere un decalogo servono almeno altre quattro proposte: che ne dici di contribuire con le tue idee? Qui di seguito trovi il form per scriverle oppure, se preferisci, contattaci e facciamo due chiacchiere 😁

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Lidia, CEO & Founder di Happy Minds, è formatrice e consulente di marketing e comunicazione dal 1999, specializzata in progetti di marketing turistico e territoriale con esperienze in diverse regioni d’Italia. Audit, ricerca e analisi, benchmarking, business model, brand purpose, brand positioning, ecosistemi digitali, coaching e formazione sono le sue competenze specifiche.

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