Familiar Strangers: dall’immaginario collettivo allo spazio virtuale condiviso
A pochi giorni dall’apertura delle porte di due degli appuntamenti più attesi del calendario degli addetti ai lavori e non del Turismo (nda. BIT e BTO) mi sono imbattuta in una mostra di Art City Segnala, [manifestazione che riempie la città durante i giorni di Artefiera e della Art White Night di Bologna di eventi, mostre e installazioni a contenuto artistico] all’interno dello Spazio Labò. Nella sede di questa associazione sono state messe in mostra immagini User generated, il titolo della esposizione è “Immaginari collettivi nell’epoca della fotografia mobile, mostra collettiva organizzata in collaborazione con PHmuseum” – rinomata piattaforma online dedicata alla fotografia contemporanea internazionale – in seguito alla conclusione del primo Mobile Photography Prize per il quale sono state ricevute 11.000 fotografie da tutto il mondo.
“Ognuno di noi ha il diritto di realizzare e condividere fotografie, ma vorrei che vi chiedeste quali immagini vogliate realmente scattare perché, per quanto possa essere vero che tutte le immagini possibili sono state già realizzate, non è detto che tutte le storie siano state raccontate. E sono abbastanza certo che abbiamo tutti qualcosa di originale e unico dentro di noi da condividere.”
Leggendo la citazione di Erik Kessels, tratta dalla postfazione del libro “Familiar Stranger” (PHmuseum, 2020), ho cominciato a riflettere tout court sulle contaminazioni tra i visitatori dei luoghi dell’arte, della cultura e di conseguenza del gusto e del viaggio. Di come condividiamo spazi fisici e virtuali con perfetti sconosciuti e sconosciute, che sui treni e le metro, nei bar come nei contesti dei social media e nei gruppi web, diventano i nostri familiar stranger quotidiani.
Stanley Milgram, psicologo statunitense, nel 1972 definisce familiar stranger
“un concetto che si riferisce a quegli individui che non si conoscono ma condividono alcuni attributi comuni come interessi, occupazione, posizione sociale e così via.”
Così, nella quotidianità di spostamenti e luoghi, interazioni che ci sembrano improbabili con uno sconosciuto diventano del tutto spontanee e naturalizzate nei Social Media, dove mettiamo tag, like e commentiamo persone che non conosciamo nella vita fuori dal web. Diventa quindi interessante esplorare la complessità delle relazioni che si innescano e che, potenzialmente, ci farebbero interagire virtualmente con il nostro vicino in metro, anche se per mesi abbiamo viaggiato insieme senza mai scambiare una parola, o entrare in contatto nel senso più fisico del termine.
Forse per deformazione professionale, forse perchè l’antropologia culturale mi ha sempre entusiasmata, al punto da frequentare per 3 anni le lezioni del primo anno di università della docente che ha cambiato la prospettiva del lavoro che sognavo di fare e la mia intelligenza emotiva, ho cominciato a pensare a come questo intreccio di non relazioni e scambi digitali diventi in realtà un patrimonio inestimabile di racconti, narrazioni, abitudini e comportamenti a disposizione della collettività, dei brand e ovviamente delle destinazioni turistiche.
Instagram, Facebook, YouTube, Twitter, Pinterest e ne avrei ancora molti da elencare, sono le piattaforme che hanno trasformato il marketing turistico, consentendo agli utenti di diventare “testimonial” dei loro viaggi e delle loro esperienze, grazie all’uso di uno smartphone. Oggi, infatti, il 48% degli utenti di Instagram trova grazie al geotag, agli hashtag da seguire e ai content creators, nuove destinazioni, mentre il 60% sceglie il dettaglio delle tappe del proprio viaggio grazie alle foto di altri utenti, spesso sconosciuti, ma nei quali si riconoscono, prima di partire.
Nel 2019 Uzaidi Udanis, amministratore delegato di Eyes Holidays in Malesia, ha dichiarato che i social network sono la principale fonte da lui utilizzata, per comprendere i comportamenti, le abitudini e le esigenze dei viaggiatori e dei suoi dipendenti, in quanto vivono gli stessi luoghi da locals e da visitatori, regalandoci punti di vista differenti, a volte anche diametralmente opposti.
Secondo un sondaggio pubblicato sul sito Econsultancy il 40% degli under 30 sceglie la destinazione del proprio viaggio anche in base a quanto questa è “instagrammabile”.
Easyjet nel 2018 ha introdotto il servizio Look&Book che permette di ricercare un luogo tramite Instagram partendo da una foto: un algoritmo riesce a individuare la location ed Easyjet propone le soluzioni di volo per giungere a destinazione.
Sullo stesso trend Airbnb ha aggiunto le “Travel Stories”.
Nell’ultima classifica Pinterest 100 è emerso che le due ricerche principali in relazione al viaggio sono “le isole meno conosciute” (le ricerche sono aumentate del 179%) e i “castelli abbandonati” (+142%).
Il 97% dei Millennials dichiara di aver raccontato almeno una volta sui social media un luogo a cui tiene particolarmente con l’obiettivo di condividerlo con gli altri e farlo scoprire a chi ancora non lo conoscesse.
Uno storytelling fatto di racconti, immagini, video e connessioni che sono diventati se non la principale una delle principali fonti di ispirazione e scelta in materia di viaggi – da un lato – e la certezza per destinazioni e brand di poter incrociare e incontrare i gusti e le abitudini dei loro consumatori, grazie quegli stessi contenuti.
E quindi, direte voi che siete arrivati fin qui?
Quindi sono curiosa di vedere come Bit e BTO hanno assimilato questo mutamento nei comportamenti e nelle abitudini dei viaggiatori, e spero mi regaleranno spunti interessanti, che fanno tesoro di questo patrimonio che la rete e gli utenti ci regalano quotidianamente.
Cecilia Pedroni
Fonti:
Hotel Nerds
Talkwalker report Influencers and Travel 2019
Econsultancy – The Insta effect: How the ‘gram is impacting travel marketing & commerce
Pinterest 100: The top trends for 2019