Transformative Travel: viaggeremo per trovare noi stessi
Lo si dice da un po’ che il turismo esperienziale è vecchio e sta per essere sostituito. Ma da quale altra tendenza?
A quanto pare a prendere il posto del turismo esperienziale sarà una sua naturale evoluzione, e cioè il turismo trasformazionale o in inglese – che, diciamolo, suona molto meglio – il Transformative Travel.
Dopo la ricerca di esperienze uniche, autentiche, originali che hanno cambiato lo scenario turistico degli ultimi dieci anni scopriamo ora che viaggeremo per… trovare noi stessi!
Per chi ha un minimo di cultura classica devo dire che il viaggio come occasione di trasformazione, ricerca interiore, autoaffermazione e scoperta del sé, in realtà non suona proprio nuovo. Ma vediamo invece perché nel business turistico potrebbe rappresentare una bella novità.
Coerentemente con la teoria di Maslow che pone all’apice della piramide dei bisogni umani tutto ciò che riguarda l’autorealizzazione, il viaggio trasformazionale all’inizio è stata una tendenza soprattutto del settore Luxury con una forte caratterizzazione nel settore Avventura: due categorie di viaggio non alla portata di tutte le tasche dove la trasformazione consisteva ad esempio nello sfidare sé stessi in mezzo a una giungla o meditare in un esclusivo glamping sotto l’aurora boreale.
Ma da qualche tempo il viaggio trasformazionale sta diventando interessante per diversi segmenti del turismo e sta attirando diverse tipologie di viaggiatori. Ad esempio, un sondaggio condotto da Skift* su 1350 persone, rivela che il 54% dei viaggiatori attribuisce un elevato grado di importanza a questo modo di viaggiare.
Ma perché un viaggio diventa “trasformazionale”?
Ci sono molte ragioni. Ad esempio, le esperienze che permettono di vedere le cose sotto un’altra prospettiva (53% di risposte nel sondaggio SKIFT), imparare qualcosa di nuovo (43,5%) o aver tempo e modo per riflettere (30,3%).
Tra i fattori esterni che favoriscono invece il processo di trasformazione 400 viaggiatori hanno indicato ai primi tre posti: le persone incontrate nel viaggio (38,8%), le avventure inaspettate (35,2%), le attività culturali, di intrattenimento e quelle legate al food (34,1%).
Quello che sembra emergere è che non esiste una tipologia di viaggio trasformazionale ma dipende da che cosa uno cerca.
Può diventare trasformazionale un trekking, un viaggio avventuroso, un viaggio culturale o un viaggio enogastronomico. Quello che invece non può mancare è la combinazione sinergica di tre elementi e cioè Personalizzazione, Autenticità e Connessioni.
Questi tre elementi insieme sono essenziali per fare in modo che il viaggio non lasci solo un bel ricordo ma possa incidere profondamente sul modo di vedere e pensare delle persone. Un viaggio trasformazionale è come una sorta di shake up interiore capace di smuovere cuore, pancia e cervello. E se con i concetti di personalizzazione e autenticità ci siamo impratichiti con il turismo esperienziale, la vera sfida per costruire un’offerta di turismo trasformazionale ce la giochiamo proprio con le CONNESSIONI che secondo me sono soprattutto emotive.
Se prima è bastato progettare “attività e cose da fare in vacanza” più o meno originali, sfidanti, autentiche, originali e divertenti adesso serve progettare esperienze connettive capaci cioè di creare relazioni tra le persone, far immedesimare gli uni negli altri, far cambiare idea e punto di vista. E tutto questo si fa solo lavorando sulle persone, sulla loro empatia, sulla loro disponibilità e interesse ad aprirsi agli altri.
Il viaggio trasformazionale è forse la più grande invenzione del turismo, perché per la prima volta il bisogno della domanda e dell’offerta convergono in un unico obiettivo: essere persone migliori e più felici.
Lidia Marongiu