Vuoi avvicinarti alla tua community? La pagina Facebook non basta!
2,98%. No, non è il CTR di una campagna Facebook, ma il tasso di engagement medio delle pagine con più di 100.000 fan. Basso? Forse. Significativo? No. O perlomeno, non più.
Perché le persone interagiscono così poco con le pagine dei brand? Basta una pagina Facebook per avvicinarsi e raggiungere la propria community? Oppure le community sono definitivamente morte?
In effetti sono domande trite e ritrite che sentiamo ciclicamente da tutte le fonti. Non esiste una risposta univoca che possa andar bene per ogni brand, ma un punto fermo c’è: non basta “stare” su un social network per coltivare una community.
“The future is private” con questa affermazione Zuckerberg ha aperto F8, la convention annuale Facebook per gli sviluppatori, e infatti è questa la tendenza verso la quale stiamo navigando.
Non so se ci avete fatto caso, ma ultimamente viviamo i social in modalità risparmio energetico: guardiamo passare i post, senza interagire, magari li salviamo, ma perchè sforzarci di lasciare un like o un commento?
E allora dove esprimiamo il nostro entusiasmo, il nostro apprezzamento e la nostra fiducia? Dove sappiamo che c’è qualcuno che ci ascolta, dove l’argomento trattato ci interessa, dove ci sentiamo parte di una community, quasi come in una “grande famiglia”.
Allora secondo voi può bastare una pagina Facebook per coltivare una community fidelizzata e interessata al nostro brand? No, è ora di puntare anche al “privato”. Attenzione, non sto dicendo che le pagine Facebook non servano più o non debbano più essere gestite: la pagina rimarrà sempre la vetrina del nostro brand, racconterà la nostra azienda, i nostri valori, ci aiuterà a comunicare e vendere i nostri prodotti e sarà comunque uno dei mezzi migliori per il customer care.
Quindi, come possiamo avvicinarci ai nostri potenziali sostenitori? Abbiamo 3 modalità: i gruppi, i testimonial, la comunicazione diretta.
I “salotti privati” ovvero i gruppi
Che si tratti di Facebook o di Linkedin è un dato di fatto che i gruppi funzionano molto meglio, a livello di engagement e interazioni, delle pagine Facebook.
Durante la convention F8, Zuckerberg ha annunciato che sono 400 milioni (su circa 2 miliardi!) le persone iscritte a decine di milioni di gruppi Facebook attivi e che la strategia del colosso tende sempre più ad incentivare l’uso di questo strumento.
Ma perchè i gruppi hanno un tasso di interazione più alto della pagina?
Le ragioni riguardano soprattutto l’aspetto “umano” dello strumento: i gruppi ci mettono in contatto con le persone, persone “vere” che si confrontano con noi. Perché un’azienda dovrebbe creare un gruppo? Per dare un valore aggiunto ai suoi clienti: spazi di confronto, senso di esclusività, una customer care più efficiente.
Ma non solo gruppi aziendali.
I gruppi che funzionano meglio sono quelli che accomunano le persone, al di là del brand: uno degli esempi più virtuosi è Socialgnock, un gruppo di sole donne che vuole costruire una cultura di condivisione spontanea e supporto reale; e se parliamo di viaggi come non citare il gruppo Famiglie Globetrotter – viaggi con bambini della pagina Bimbi & Viaggi, che conta più di 21.000 iscritti, tutti molto attivi!
I testimonial, ovvero persone nelle quali ci rispecchiamo e che condividono i valori aziendali.
Conquistare la fiducia di una community non è semplice, affidarsi a influencer che condividono i valori aziendali e li condividono con le proprie community può rivelarsi il metodo migliore per creare una community di valore attorno al brand. Non solo i grandi influencer, ma anche i cosiddetti micro-influencer che molto spesso hanno follower molto più profilati, che si rispecchiano nei valori dell’influencer e dei brand di cui parla e quindi sono più propensi alla conversione.
La comunicazione diretta: newsletter, whatsapp, stories, telegram e chi più ne ha più ne metta
Il tasso di interazione con i post Instagram scende, ma aumentano le visualizzazioni delle stories ma soprattutto i reply in direct. Perchè? La motivazione non cambia, una comunicazione diretta fra brand e community, soprattutto se quel brand è identificato in una persona o si comporta come una persona (vedi Netflix e i suoi commenti ai post) aumente il rispetto e l’awareness del brand, creando fiducia e fidelizzazione del cliente. La comunicazione diretta one-to-one sta cambiando anche il modo del customer care: passiamo dalle mail a whatsapp business, immediato, semplice, ma sopratutto personale.
Ma non si tratta solo di comunicazione a doppio senso, ma anche comunicazione a senso unico, intesa come diffusione dei contenuti: mantenere un aggiornamento costante con la propria community. Da questo punto di vista le newsletter, quelle scritte bene e con uno scopo, sono uno degli strumenti più utili nel creare un rapporto con i propri fan, quasi come un diario di bordo. Un altro strumento utile e funzionale nelle diffusione dei contenuti è Telegram, che attraverso i canali ci permette di mantenere aggiornati i nostri iscritti su argomenti specifici, breaking new o notizie di settore, promuovere prodotti e offerte o selezionare e fidelizzare una cerchia ristretta di utenti. Uno dei brand che ha saputo sfruttare i vantaggi di Telegram per la diffusione dei contenuti è La Repubblica, che ha attivato un servizio di breaking news, gratuito, per i propri utenti attraverso il suo canale Telegram, che conta più di 16.000 iscritti.
Ora vi rifaccio la domanda iniziale, basta una pagina Facebook per avvicinare brand e community?
Laura Spanu