Digital marketing: oltre le discriminazioni
Il marketing è razzista? È sessista? È classista?
In un certo senso sì, e non potrebbe essere diversamente. O almeno è quello che molti marketers credono. Ma partiamo dalle basi per analizzare il rapporto tra marketing e razzismo.
Il marketing tradizionale e la segmentazione
Uno dei concetti alla base del marketing, ideato da Michael Porter, è la segmentazione di mercato. Questo processo permette di suddividere il mercato in segmenti, o target, da tenere in considerazione per la creazione delle strategie di marketing.
Nel marketing tradizionale i mezzi esistenti permettevano di segmentare principalmente sulla base di variabili geografiche e socio-demografiche: luogo di nascita o residenza, fascia d’età, sesso, reddito, titolo di studio e così via.
Questo metodo sembrava funzionare alla perfezione, in realtà se ci fermiamo a questa suddivisione del mercato potremmo perdere opportunità di business di cui non immaginiamo neanche l’esistenza.
Quando il razzismo non paga
Ad esempio se dovessimo ideare una strategia di marketing per un brand di auto sportive di fascia media segmentando il mercato solo con variabili socio-demografiche, probabilmente ci rivolgeremmo esclusivamente ad un pubblico maschile. Questo, però, vorrebbe dire escludere dalle nostre campagne pubblicitarie dal 20% al 30% degli acquirenti.
Eh sì, perché in realtà i clienti di marchi come Alfa Romeo, Audi, BMW e Mercedes sono per un terzo donne.1
Per non parlare degli effetti negativi, in termini di brand reputation, di campagne accidentalmente (o volutamente) discriminatorie:
- Dolce&Gabbana: dal cartellone pubblicitario maschilista all’esordio nel mercato cinese con una campagna social irrispettosa, il brand ha subito diversi boicottaggi a cui sta tentando di rimediare.
- Barilla: i suoi spot che esaltano la famiglia tradizionale e le dichiarazioni omofobe del CEO (“Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca”) non sono piaciuti a tutti. Ora Barilla ha iniziato una serie di azioni di marketing inclusivo.
- Dove: un video sui social in cui una ragazza di colore si sveste e diventa bianca è diventato virale perché considerata razzista. Anche in questo caso, le scuse da parte del brand non si sono fatte attendere.
Quando l’inclusività paga
Dall’altro lato, ci sono brand che scelgono di adottare una filosofia fondata sull’inclusività. Secondo lo studio Diversity Brand Index, il 74% degli italiani è sensibile ai messaggi inclusivi nelle scelte d’acquisto e il 51% sceglie con convinzione solo brand inclusivi.
Oltre alla percezione dell’identità del brand, i benefici di questo modo di fare marketing sono ancora più tangibili nel digital marketing.
Michael Porter, nella sua idea di segmentazione, incluse anche le variabili psicografiche e comportamentali.
Salvatore Ferragamo ha presentato l’ultima collezione con una campagna basata sulla diversity
La “segmentazione digitale”
Nel mondo digitale queste variabili sono più misurabili che mai grazie al tracciamento del comportamento degli utenti sul web.
Noi professionisti possiamo usufruire di questi dati per sviluppare strategie di marketing che si basano su ciò che interessa agli utenti a prescindere dal sesso, dall’età, dalla provenienza, dal titolo di studio e così via.
Se il mio brand produce prodotti per i capelli posso rivolgermi, utilizzando i giusti strumenti e seguendo una strategia ben strutturata, alle persone che sono potenzialmente interessate ad acquistarli. Che si tratti di donne o uomini, di teenager o ultrasessantenni, di single o sposati, di sudafricani o norvegesi poco importa. Sono dati secondari che non necessariamente incidono sui risultati di business e difficilmente possono incidere in modo negativo.
Ciò che importa sono le abitudini di acquisto, i canali, il tasso di conversione, gli interessi e tutte le altre variabili comportamentali misurabili grazie ai giusti strumenti.
Marketing razzista o marketing inclusivo
Per rispondere alle domande che mi sono posto all’inizio, non c’è una risposta universale. C’è la libertà dei brand di scegliere come fare marketing.
Tra un pubblico definito solo in base a variabili socio-demografiche a uno definito solo per interessi, c’è un oceano di possibilità.
Conosciamo fino in fondo gli strumenti tradizionali e quelli digitali!
Solo allora potremo scegliere dove collocarci, ricordandoci che i brand non dialogano con “segmenti”, ma con persone.
Michele Santoro
1 https://www.infodata.ilsole24ore.com/2017/06/04/quali-le-auto-giovani-le-donne-gli-uomini/